mercoledì 12 dicembre 2012

Nasce la Newsletter "REINOS NEWS"

Nella Primavera del 2008, nasce la nuovissima Newsletter REINOS NEWS, il primo e unico periodico (inizialmente a cadenza trimestrale) che si occuperà di tematiche legate all'acqua.
Il fiume Reno, il canale Navile e gli altri corsi d'acqua del nostro territorio saranno quindi argomento centrale di questo nuovissimo mezzo di informazione.
Reinos, che nell’antica lingua celtica delle popolazioni che vivevano nelle nostre terre significa “acqua che scorre” e che è la parola che ha dato origine al nome attuale del fiume Reno, vuole essere la voce di tutte quelle persone e organizzazioni pubbliche e private, che dell'acqua hanno fatto il loro lavoro, la loro arte, la loro passione di vita.
La Newsletter, sarà inviata a centinaia di nominativi tra istituzioni, aziende, associazioni, autorità, artisti, singoli cittadini che ne fanno richiesta, ecc.
Questo Blog nasce per due motivi.
Il primo motivo: essere di supporto alla Newsletter che, invece di essere inviata nella sua interezza, conterrà esclusivamente i titoli e le prime righe di ogni articolo, mentre il testo completo, verrà pubblicato interamente su questo Blog. In questo modo, si permetterà di non appesantire l'invio della Newsletter via e-mail e allo stesso tempo, con un semplice click sul link dell'articolo, si potrà accedere a questo Blog per leggere l'intero pezzo.
Il secondo motivo: permettere ai lettori di intraprendere una vera comunicazione con la redazione e con gli altri lettori, dando la facoltà di scrivere il proprio commento in calce ad ogni articolo.

15 aprile 2008, Riccardo Fioravanti

martedì 15 aprile 2008

EDITORIALE - Perchè Reinos?

Perché Reinos? Perché ce n’è bisogno! Ecco perché!
C’è bisogno di promuovere l’acqua e la natura. C’è bisogno di ricordare a se stessi quanto sia importante questo elemento per il nostro benessere e per la nostra esistenza.
Un esistenza che và ben oltre il bisogno di sopravvivere, ma che si inoltra nel tema profondo dello stare bene non solo fisicamente, ma anche psicologicamente e spiritualmente.
L’acqua è sempre stato un elemento fondamentale per le civiltà del passato ed era ben chiaro alla gente quanto essa fosse importante.
Le città nascevano sulle rive dei fiumi e in essi si stabilivano le più importanti vie di comunicazione. Dall’acqua veniva la vita e le civiltà del passato che hanno vissuto nella prosperità, lo devono ad un felice connubio tra il loro sistema di vita e i corsi d’acqua del loro territorio.
Le prime macchine meccaniche della civiltà, devono la loro attività alla forza idraulica e ancora oggi tale sistema è un modo non inquinante per procurarsi energia.
Alcune culture, hanno addirittura innalzato l’acqua ad elemento sacro e la nostra stessa tradizione religiosa, utilizza questo elemento per svolgere alcuni dei rituali più noti come il battesimo o il gesto di bagnarsi la mano per farsi il segno della croce prima di entrare in chiesa.
Col tempo, queste tradizioni sono diventate scontate e da elemento primario, la nostra cultura ha piano piano declassato l’acqua ad elemento accessorio alla società, esaltandolo solo quando commercialmente o esteticamente ci faceva più comodo.
Ma quando un corso d’acqua non era lucrativo, lo abbiamo rinchiuso, bloccato, deviato o tombato, scordandoci di lui o peggio ancora, trasformandolo in un comodo luogo dove scaricare i nostri rifiuti e abbandonandolo al degrado più miserabile.
Ma l’acqua di questi tempi non è più un bene che possiamo snobbare e sottovalutare.
Oggi, la preoccupazione per l’acqua è tangibile. Reale.
Come il petrolio è la merce per cui si fanno le guerre oggi, domani lo si farà per l’acqua.
Non possiamo più ignorare i problemi che con il nostro disinteresse abbiamo accumulato a riguardo di questo prezioso elemento.
Ecco perché nasce Reinos!
Un ultima cosa. Perché questa Newsletter è stata chiamata Reinos?
Perché Reinos era il nome con cui le antiche popolazioni celtiche che si erano insediate nella nostra terra e dalle quali proveniamo, usavano questo nome per chiamare il fiume che noi oggi chiamiamo Reno. Infatti, la parola “Reinos” in lingua celtica significa “acqua che scorre” ed è il nome che aveva lo stesso fiume che tali popolazioni chiamavano nelle loro terre d’origine da cui provenivano; il Reno tedesco.
Questo richiamo ad un’antica parola ancestrale, che è un termine da cui trae origine il nome del più importante corso d’acqua della nostra terra, vuole essere un altrettanto invito a ripartire dalle origini e dagli antichi e nobili valori che la nostra società insieme all’acqua ha perso per strada e che ora è fondamentale recuperare per ricostruire una nuova comunità basata su valori e ritmi meno artificiali e più naturali.
Reinos diventa quindi un inno all’acqua e alla purezza e freschezza che essa simboleggia.

A cura di Riccardo Fioravanti

ISTITUZIONI - Matteo Prencipe, Sindaco di Calderara di Reno (BO)

Matteo Prencipe è nato a Vico del Gargano (Foggia) il 30/04/1952. Coniugato con una figlia, ha conseguito il diploma di Maturità Classica presso il Liceo Ginnasio "V. Lanza" di Foggia nel 1972 ed è stato iscritto alla facoltà di Giurisprudenza delle Università di Bari e Bologna. Tifa per l'Inter ed il Foggia ed ha una simpatia per il Bologna. Ama il mare garganico e la sua terra di nascita. Hobby: cinema (Robert de Niro), musica lirica (Verdi e Puccini) e lettura (Sepùlveda e Foscolo). Funzionario del Ministero del Tesoro, attualmente è negli organici dell'INPDAP di Bologna. Dal 1983 al 1987 è stato delegato CGIL, responsabile comparto provinciale"ministeriali" e componente del direttivo provinciale FP-CGIL. Assessore alla Scuola, Cultura, Sport, Tempo Libero e Informazione dal giugno 1993, è stato eletto Sindaco di Calderara il 13 giugno 1999. E' componente del direttivo nazionale dell'ANCAI (Associazione Nazionale Comuni Aeroportuali Italiani). Il Sindaco oltre ai compiti politico-istituzionali di Ufficiale di Governo e di Coordinamento della Giunta Municipale, cura personalmente le seguenti deleghe: Urbanistica, Edilizia Privata e Comunicazione. Dal 1999 al 2001 è stato Presidente del Comitato per le Onoranze delle "Vittime di Sabbiuno" Continua a svolgere la propria attività lavorativa presso l'INPDAP di Bologna e, nel contempo, ricopre la carica di Sindaco.

Quali sono i punti di maggior interesse del fiume Reno, nel territorio di Calderara di Reno?
L’ Oasi di S. Vitale è uno dei punti di maggiore interesse naturalistico, turistico e didattico, costituendo un essenziale corridoio biologico per la fauna. Sono state infatti disposte dal WWF nel 1998 zone umide, onde favorire la nidificazione di nuove specie di uccelli, con la messa in dimora di piante e idonei arbusti, che sono diventai ormai alberi ad alto fusto e di fitta vegetazione. Le ampie golene, che si estendono a San Vitale, a Longara, a Passo Pioppe presso la località di Castel Campeggi, conservano la spaziosa bellezza propria delle vedute paesaggistiche; inoltre la loro disposizione permette lo snodarsi di sentieri e carreggiate, che formano percorsi per attività sportive e di turismo locale.

Quali sono gli aspetti storici salienti del suo comune, legati al fiume Reno?
I passi sul Reno hanno avuto un’importanza non solo per i paesi in sinistra, come S. Vitale e Longara, ma per tutto il comune di Calderara nella comunicazione con gli altri comuni alla destra del fiume e con Bologna. Nell’800 S. Vitale era un paese considerato fuori porta Lame, perché attraversando il Reno alla Crocetta, si era già a pochi chilometri dalla città. In questo punto, come attestano gli studiosi del ‘700 e ancora le mappe dell’800, tra S. Vitale, Borgo Panigale e Bertalia si estendeva in epoca romana la famosa Isola del Reno, su cui i generali Antonio, Lepido e Ottaviano tennero il Triumvirato del 43 a. C. In epoca napoleonica, il brigante Prospero Banchieri imperversava nei comuni della pianura, per impadronirsi di viveri e di denaro, a capo di bande di insorgenti che avevano rifiutato la chiamata alle armi. Dal 1807 fino al 1809 dimostrò una certa capacità tattica, riuscendo ad impadronirsi per alcuni giorni di centri come Budrio e S. Giovanni in Persiceto. In questi rapidi spostamenti passava il Reno a passo Pioppe, o alla Barca del Trebbo, infatti nel 1808 assaltò la canonica della Chiesa di S. Vitale, dove aveva sede dal 3 febbraio 1804 il Municipio di Calderara, per impossessarsi di alcuni fucili. Il 13 marzo 1810, fu ucciso in uno scontro con la guardia nazionale. Tra Longara e il Trebbo, da secoli, c’era il passo a guado per i carri e la barca di legno. A monte del passo, su entrambe le sponde veniva estratta la ghiaia e la sabbia per la manutenzione delle strade e le costruzioni. I braccianti delle borgate vicine erano occupati per intere stagioni ad estrarre questi materiali e a “maccare la breccia”, inoltre ricavavano dal fiume pesce, legna, vimini e vari tipi di canne. La “Barca del Trebbo” ha avuto un ruolo nella storia recente. All’inizio degli anni ’30, quando è stato costruito il ponte di Bonconvento, restava un lungo tratto senza possibilità di passaggio per i mezzi pesanti. La famiglia Marcheselli – Muzzi eliminò la secolare barca di legno e montò un ponte con sei barche di ferro, residuati della prima guerra mondiale, su cui transitavano anche i carri e le automobili. I ghiacci e la piena straordinaria del 1940 travolsero questo complesso, di cui si sono salvate le due barche più corte, che hanno traghettato i passeggeri durante la guerra e gli operai, che andavano in bicicletta a lavorare a Bologna nel periodo della ricostruzione. Sono state allestite altre passerelle fino alla piena del 1966, che ha trascinato via le barche e persino i cavi di sostegno. Il ponte di barche ha avuto inoltre un ruolo importante per il passaggio, a piedi e in bicicletta della gente che andava “di qua e di là dal Reno” e per i molti venditori ambulanti e artigiani, che portavano alle case la loro merce e i loro servizi. Poi è venuto il tempo delle auto utilitarie e della tangenziale, così è finito il suo modesto ma importante ruolo storico. Queste due barche, dopo oltre trent’anni, sono ritornate alla luce come testimonianze di un’epoca. I soci del “Club del Venerdì Sera” di Longara le hanno recuperate dal Fondo Mazzoni ed esposte in piazza il 12 settembre 1997 per la festa del paese. Sono state poi restaurate per iniziativa dei Comuni di Castel Maggiore e Calderara, poi collocate una al Trebbo accanto alla rampa che portava al passo, l’altra a Longara vicino all’argine del Reno.

Quali sono i più importanti eventi culturali, di spettacolo e/o sportivi del suo comune dei quali si sente di sottolineare l’esistenza e ai quali vuole invitare i nostri lettori?
Il WWF ogni hanno promuove un incontro all’Oasi; il Circolo CalderArte ha organizzato mostre a tema ed estemporanee sui paesaggi del Reno; le polisportive “Lippo” e “Longara” effettuano camminate lungo i sentieri, che costituiscono i percorsi all’interno del Parco. Nei mesi estivi del 2003, nell’ambito delle celebrazioni per il bicentenario della istituzione del Comune di Calderara, si sono rievocati gli eventi del periodo con due animazioni spettacolari nella golena a S. Vitale, con la regia di Furio Ianneo e l’organizzazione del Teatro Reon. Che importanza ha il fiume Reno oggi, per il suo comune? Il fiume Reno e le sue golene hanno trascorso un periodo particolarmente “felice” dopo la sistemazione degli argini nei primi anni ‘30, per cui si alternavano ai tratti più stretti delle arginature le ampie golene, che contenevano e rallentavano le acque durante le grandi piene. La maggiore disponibilità d’acqua ne manteneva un livello alto anche d’estate e alimentava fresche sorgenti. Nelle stesse golene vi erano campi fertili e ben coltivati. La vegetazione nelle sponde veniva tagliata nelle parti eccedenti, le pioppaie non impedivano il deflusso delle piene e trasformavano le rive in luoghi climatici per campi solari e balneari. Fino alla metà degli anni ’50, le inondazioni riportavano ogni anno i materiali che i barocciai o i primi camionisti asportavano. Dopo, l’escavazione con mezzi meccanici è stata sistematica, inoltre è seguito il periodo delle acque inquinate con le sponde coperte di rifiuti di plastica. Con la seguente costituzione dell’autorità di bacino e le nuove normative regionali in merito alla depurazione dei liquami vari, l’alveo del Reno è stato restituito a nuova vita. Ora questa linea verde e le aeree d’importanza naturalistica permettono attività sportive e culturali di rilievo, inoltre la possibilità di recupero ambientale anche nelle zone limitrofe. Sul piano della salvaguardia del territorio dalle grandi piene, il nuovo monitoraggio del corso del Reno e la costruzione delle prime casse di contenimento, se aggiunte a un controllo della vegetazione lungo le rive, forniscono una maggiore sicurezza all’intero territorio del comune.

Quali sono i principali problemi del fiume Reno, ancora da risolvere?
Il completamento del progetto di messa in sicurezza dalle grandi piene, con la realizzazione delle “casse di laminazione” progettate. Attualmente sono in corso di attuazione le casse “Barca” e “Boschetto”, nei comuni di Sala Bolognese, Argelato e Calderara di Reno, mentre resta da iniziare la Cassa del Rampionese e del Trebbo, fra Calderara e Castel Maggiore.

Quali sono stati i principali problemi del fiume Reno, già risolti?
Le descritte attività e progetti di maggiore riqualificazione ambientale e culturale delle golene, l’attuazione delle prime “casse di laminazione”, le piste e i sentieri già attivi nell’ambito del Parco del Medio Reno.

Che progetti per il futuro ci sono che coinvolgano il fiume Reno?
Maturare il progetto per la costruzione di un ponte, che permetta di svolgere, in conformità ai problemi del traffico attuale, il ruolo di comunicazione tra le popolazioni rivierasche che avevano gli antichi passi.

Ci descriva la situazione nel suo territorio riguardo le piste ciclo/pedonali lungo il Reno?
La pista ciclabile, lungo l’argine del Reno, che congiunge l’Oasi di S. Vitale e il Lippo con via Triumvirato e il sistema di ciclabili attorno Bologna, se si escludono alcuni tratti di maggiore percorribilità, non è ancora del tutto completata. Sono invece praticabili i sentieri o le piste pedonali, usati di frequente per le camminate e le gare podistiche.

Sono previste anche piste per i cavalli?
I cavalli ora girano molto bene lungo gli argini e nei sentieri esistenti, mentre è loro vietato l'attraversamento dell'Area di Riequilibrio Ecologico della golena di San Vitale (come anche ai cani) per ragioni di protezione dell'ecosistema.

E’ possibile navigare il fiume in canoa?
Alcuni tratti del Reno tra i comuni di Calderara e di Castel Maggiore, per la larghezza e la profondità del letto del fiume, si prestano alla navigazione in canoa, in particolare nel tratto accanto all’Oasi di S. Vitale e nei fondali di Longara. Occorre però precisare che, se in queste zone l’alveo del Reno è idoneo a questo genere di sport, occorrono rampe di accesso alle rive, dove le sponde sono ripide e boscose.

Siete disponibili ad agevolare lo sviluppo delle attuali strutture turistiche, ricreative e di ristorazione lungo il fiume e di favorirne la creazione di nuove?
Qualora si dovessero creare le condizioni, la nostra disponibilità sarà totale.

Tra i componenti della giunta comunale, compreso lei, ci sono degli amanti di passeggiate a piedi, podismo, bicicletta, cavalli o canoa che si recano sul fiume Reno, per svolgere questo genere di attività nel proprio tempo libero?
Non mi risulta esserci amministratori che pratichino attività sportive o del tempo libero recandosi sul fiume Reno. Ciò può essere dovuto, però, al poco tempo libero di cui godiamo a causa degli impegni legati alla nostra attività di amministratori dell’Ente locale.

Che cosa si augura nel futuro, per il fiume Reno?
Mantenere la qualità ecologica dell’alveo per garantire al Reno la sua funzione di flusso idrico vitale, che, unitamente alle casse di laminazione, possa potenziare la capacità di arricchire le falde sotterranee. L’ambiente delle golene va rinaturalizzato a bosco planiziale e a brughiera, da gestire con una disciplina d’insieme, adatta al alla funzione di un vero “Parco”. Riuscire ad impedire scarichi incontrollati o immissioni di liquami non depurati e coinvolgere sempre più le associazioni sportive e culturali, le quali, mentre usufruiscono di queste aree con il rispetto di chi ama la natura, diventano agenti di proposta e riqualificazione del corso del Reno.

Per concludere, qual è il messaggio che vuole dare ai lettori che visitano o vivono Lungo le acque del Reno?
L’acqua è un bene comune indispensabile alla vita, di conseguenza il Reno e i suoi affluenti possono formare nelle zone di pianura un’arteria di biodiversità. Per meglio realizzare questo scopo, occorre prendere come punti di riferimento le aree e le strutture già operative come l’ARE Golena di S. Vitale e il nuovo Eco - museo dell’Acqua a Padulle, nel punto in cui il Dosolo sfocia in Reno. Importante è l’adesione e la collaborazione dei pubblici amministratori, delle associazioni sportive e di volontariato; molto utile è l’attività di organismi come “Patto per il Fiume”, “Reno - Fiume – Ambiente” e “Comitato per l’acqua del Bacino del Reno”, che studiano e progettano interventi di tutela dell’acqua e dell’ambiente, con una visione in cui il territorio comunale si inserisce come una “tessera” in un ampio mosaico.

Per la ricerca storica, il Sindaco si è avvalso della consulenza del Prof. Rino Battistini.

Intervista a cura di Riccardo Fioravanti

PERSONAGGI - Pagina in allestimento

Pagina in allestimento

STORIA - Il Cippo di Sacerno in memoria del Triumvirato

Il Cippo di Sacerno, pur trascurato negli ultimi decenni e quasi sepolto dai rinfianchi dell’argine destro del Lavino e dall’ampliamento di Via di Mezzo, resta l’unica memoria antica del triumvirato del 43 a. C., e la sua storia è documentata nei testi delle sue lapidi. Questo imponente manufatto conserva inoltre il fascino dei segnacoli che continuano la sacralità del luogo, già viva in epoche pagane ed intensificata con l’avvento del cristianesimo.
Questa colonna fu eretta nel secolo XVI dai Servi di Maria, proprietari dei terreni, con l’intento di celebrare l’importanza del luogo, ritenuto, secondo l’interpretazione di alcuni testi storici, quello in cui i tre noti generali romani si spartirono le province nel dominio di Roma. Alcuni studiosi del ‘700 individuarono però l’Isola del loro incontro nell’ampia golena del Reno, tra Borgo Panigale e S. Vitale a sinistra, Bertalia a destra.
Chi effettuò i restauri di questo monumento nel 1770 e nel 1845, continuò a considerare il Cippo la “vera” memoria, inoltre nel cenno storico su Sant’Elena di Sacerno[1] del 1844, l’autore precisa: “Fu creduto quasi universalmente che nel territorio di questa Parrocchia accadesse la famosa spartizione dell’impero romano fatta dai triumviri Ottaviano, Marcantonio e Lepido, onde questo territorio fu anche detto del partaggio triumvirale”.
Per ribadire che si trattava di una credenza radicata, l’autore aggiunge: “Il detto pilastro ora sta restaurandosi e si dice che vi apporranno una quarta lapide. Gli archeologi però e i critici più giudiziosi non precisamente in questo luogo dicono accaduta la spartizione triumvirale, ma in un’isoletta del Reno non lungi dalla Chiesa Parrocchiale di Bertalia”.
Il pilastro sorge in una località caratteristica di Sacerno chiamata Mèz dal Mònd o “Mezzomondo”, alla lettera: “alla metà del mondo”. Oltre il fascino che il termine ha suscitato nella fantasia popolare come luogo in cui quei “grandi” si spartirono il mondo, induce a considerare il “valore culturale e sacrale” attribuito “a determinati punti del territorio, ritenuti in senso simbolico e religioso centri del mondo, e come tali, caratterizzati dalla presenza di pietre onfaliche o di più articolate strutture architettoniche con finalità di culto, e in grado di istituire un collegamento fra il mondo sensibile e le realtà oltremondane”[2].
Altro elemento importante, già messo in rilievo nelle lapidi del primo manufatto, è che il Cippo si trovi vicino all’antica Rotonda, le cui reminescenze risalgono alle origini del cristianesimo e fu costruita con le presenti forme nel secolo X. A questa si è aggiunta la chiesa di S. Elena nell’XI, eretta in onore della santa, che rinvenne la Vera Croce.
Attorno alla metà del ‘500, per dare al territorio un prestigio storico, in un tempo umanistico in cui le fonti letterarie avevano acquisito un fascino particolare, i Padri di S. Maria dei Servi eressero il manufatto in questo punto, considerando che, tra gli antichi cronisti, Cassio Dione aveva individuato il luogo del triumvirato in un’isoletta del fiume che scorre presso Bologna, Appio Alessandrino su una piccola e piatta isola del fiume Lavino e Floro presso la confluenza di due fiumi[3].
Le testimonianze storiche sono vaghe e la collocazione del Cippo a Sacerno da parte dei padri Serviti non sembra avere una ragione plausibile, in particolare da un punto di vista idrografico. Poiché queste colonne della memoria si diffusero da varie parti, e pure ai Forcelli dove il Lavino sfocia nel Samoggia; appare chiaro il desiderio di alcune comunità di collegare l’evento del 43 a. C. al proprio territorio, con “il malvezzo di qualche erudito di volere integrare secondo il proprio estro le fonti”[4].
La pianta del perito Nicolò Pulega del 1666[5] indica tre strade, che dalla Via di Mezzo scendevano alla “Strada Maestra di S. Giovanni” ed erano: la “Via Longa del Tavernello” (oggi via Sacernia); la via accanto all’argine destro (fino al 1930 detta “Golena del Lavino”); una via (o stradello) che, passando ad est dell’oratorio di S. Antonio Abate, giungeva alla Persicetana. Prima del 1770 il Cippo era all’incrocio di questa strada con Via di Mezzo.
Il Savioli e in particolare il Calindri[6] identificarono un vecchio corso del Lavino, che da Gesso, passava per Olmetola, Borgo Panigale e sfociava a S. Vitale, nella località ora detta Lippo, con il nome di Canalazzo, ancora segnato nella mappe del primo ‘800. Pur di fronte a questa evidenza, alcune carte topografiche riportano la colonna come “Memoria del Triumvirato” a Sacerno; se inoltre si pensa che fu restaurato nel 1770 e nel 1845, almeno sul piano simbolico si credeva che il “Partaggio” del 43 a. C. fosse avvenuto al Mezzomondo.
A conferma che un ramo antico del Lavino sfociava di fronte a Bertalia, una mappa del 16 maggio 1813, fatta disegnare dal Conte Aldini per derivare dal Reno una fossa in grado di irrorare le sue risaie di Calderara, riporta ancora le caratteristiche dell’ampia golena nella zona vicino al Passo della Crocetta, con isole estese, tra cui scorrono “il corso principale” del fiume e i diversi “riazzi”; in alto a destra si nota con evidenza il tracciato dello “Scolo Canalazzo Abbandonato”, come qualche decennio prima l’aveva segnato il Calindri[7].
Ora il Cippo si presenta come “un massiccio segnacolo, alto in tutto m. 3,30 circa, ha sezione pressoché rettangolare con i lati di cm. 104 x 80, è ricoperto da lastre di pietra ed è sormontato da un elemento sommitale a quattro timpani, sempre in pietra, culminante in una cuspide a bulbo che reca infisso un puntale di ferro costituito da quattro acuminate lame lunate. Su ogni lato del pilastro campeggia inoltre un’iscrizione latina incisa su una lastra di marmo”[8].
La lapide ovest riporta che il manufatto fu ricostruito nel 1770 dai monaci di S. Giuseppe, dopo che per l’usura e le intemperie era ormai crollato quattro volte. Calcolando il tempo approssimativo tra un restauro e l’altro, si deduce che la colonna esisteva da molto tempo, lo stesso Calindri infatti riferiva che Antonio Masini, nella sua Bologna Perlustrata del 1666 affermava che a Sacerno “si trovava all’epoca una Memoria di macigno fatta nel 1600”, si trattava di un piastrino con due iscrizioni “del Servita Apollonio Painio”[9].
Questi primi scritti, nel ricordare l’evento storico, mettono in evidenza l’antitesi di due simboli dominanti: la “spada” e la “croce”. Ottaviano, Antonio e Lepido convennero in questo luogo, per dividersi le terre dell’impero romano, “nel nome di triumvirato, dell’anno 1090 dalla creazione del mondo, 743 dalla fondazione di Roma, 46 prima del parto della Vergine”.
Dopo questa solenne datazione, l’altra scritta ricorda il luogo dell’evento storico, facendo però riferimento alla vicina chiesa di S. Elena, dove si adora la S. Croce: “Tre uomini qui divisero il territorio del mondo con le spade”. Ma non tanto lontano, la Croce e la Trinità lo ricongiunsero. “Anno del Signore 1600”. Il fiorentino Arcangelo Giani, negli Annali dei Serviti, compilati nel 1618, affermava che la prima iscrizione era attribuita al bolognese Apollonio Painio e che lo stesso Painio si prese cura di far restaurare un vecchio cippo commemorativo ormai crollato da tempo. Si deduce che il pilastro si trovava già in loco alla metà del ‘500.
Serafino Calindri, che aveva pubblicato il suo Dizionario nel 1785, informava che il nuovo pilastro è stato fatto erigere da padre Moreno Roffeni Servita del convento di S. Giuseppe, spostando così il manufatto a sud della Via di Mezzo in un fondo di loro proprietà detto “Sotto la Chiesa”.
Anche nella storia della Parrocchia di Sacerno[10] sono riportate notizie dettagliate sulla collocazione del nuovo cippo eretto in memoria del detto “partaggio triumvirale”: “Di fatti in un quadrivio, e precisamente presso la via chiamata via di mezzo quattro pertiche bolognesi distante dal Lavino (m. 15,20), e sulla sua riva destra fu eretto un architettato pilastro con sopra una stella: e scorgesi lo stemma dei RR. PP. Serviti” nel lato sud.
Nel restauro del 1845 venne sostituita la stella in cima con il descritto puntale e al posto dello stemma dei Serviti fu collocata un’altra lapide dal promotore dello stesso restauro, il conte Giovanni Battista Spalletti, proprietario dei terreni, che, con l’approvazione del Senato bolognese, eresse il monumento giunto ai nostri giorni.
Egli affisse con poche modifiche il contenuto delle lapidi precedenti, aggiungendone, sul lato sud al posto dell’insegna dei Serviti, una nuova che metteva in risalto la sua opera: “Affinché questo famoso monumento non divenisse più fatiscente a causa dell’ingiuria dei tempi”; inoltre spostò la base del manufatto di soli 24 cm, perché fosse edificato in suolo pubblico.
Questa decisione, di far diventare il monumento un bene pubblico, ha lasciato testimonianze anche in un successivo atto di compra - vendita. Il 14 gennaio 1924, nel rogito del Dott. Giovanni Forni fu Mauro, di S. Giovanni in Persiceto (storico di riconosciuta importanza), con cui i conti Cesare e Giovanni Battista Spalletti vendevano parte del podere “Chiesa” con gli edifici colonici a Petronio e Costante Caponcelli, è solennemente scritto che sono compresi nell’acquisto i terreni segnati nel tipo allegato, escluso “la Colonna o Monumento a ricordo dei consoli Romani Antonio, Lepido e Ottaviano”[11].
Questo riferimento non solo attesta la continuità delle credenze tradizionali, ma rivela che “il vero ricordo” del fatto storico, avvenuto nel 43 a. C. nell’Isola del Reno a qualche chilometro di distanza, per tradizione era ed è rimasto il Cippo di Sacerno.
Interessante è leggere, nella storia del territorio persicetano dello stesso Forni, il passo sui presunti luoghi dove sarebbe avvenuta la famosa spartizione del mondo romano. Si era creduto nella località Forcelli, dove anche qui (alla confluenza del Lavino nel Samoggia) era stata eretta una colonna poi abbattuta, così egli scriveva del nostro cippo: “Altri vollero che il grande avvenimento avesse avuto luogo, bensì lungo il Lavino, ma in luogo superiore e cioè a Sacerno e perciò fecero ivi collocare e vi si trova ancora, un piccolo monumento consistente in una colonnetta con sovrapposto globo, rappresentante il mondo diviso”; nel passo si nota come lo studioso riduca il “monumento” al Mezzomondo a livello di “colonnetta”.
Lo storico con arguzia continua: “Ma tutti questi signori fecero i conti senza l’oste; e l’oste fu in questo caso l’eruditissimo Abate Calindri, il quale con inoppugnabili argomenti dimostrò che, al tempo di Ottaviano, il Lavino anziché nel Samoggia sfociava nel Reno”[12].
In questo atto del 1924 egli precisa di escludere, per le dette ragioni, dalla vendita “la Colonna o monumento a ricordo dei consoli Romani Antonio, Lepido e Ottaviano”, infatti i notai erano soliti riportare i termini toponomastici anche “volgarmente detti”, ma stando al significato letterale della frase, il Forni notaio attribuisce a questo cippo il ruolo di avere conservato la memoria della ripartizione.
La lapide al lato ovest rileva l’intento dei padri di S. Giuseppe di conservare nel tempo la memoria dell’evento storico tramite questa colonna, che nel 1770 eressero di nuovo e per la quinta volta, apponendovi quattro lapidi: le due antiche ampliate e questa, scritte dall’ex padre generale, il servita Maestro Adami. Il conte Spalletti nel 1845 ricostruì in modo più solido il monumento e si premurò di trascrivere le tre lapidi, con lievi ritocchi di necessità, per lasciarne integro il messaggio. La quarta, come detto, la dedicò al suo intervento.
La lapide al lato nord, con il testo più ampio rispetto a quella del 1600, ora riporta i fatti determinanti che portarono al triumvirato: “Assassinato Gaio Giulio Cesare e uccisi i consoli Pansa ed Irzio”, Antonio, Lepido e Ottaviano “assunto il triumvirato quinquennale per la costituzione della repubblica, spartendosi fra loro l’Impero Romano e decidendo le tavole di proscrizione, qui presso il fiume Lavino si fermarono per tre giorni nell’anno 711 della fondazione di Roma e 43 a. C.".

C. IULIO CAESARE INTERFECTO
C. PANSA ET A. HIRTIO COSS. CAESIS
M. ANTONIUS M. LEPIDO ET CAESAR OCTAVIANUS
TRIUMVIRATU QUINQUENNALI R. P. C. ASSUMPTO
ROMANO IMPERO INTER SE DIVIDENDO
TABULISQUE PROSCRITIONUM SIGNANDIS
HEIC AD FLUENTA LAVINI
TRIDUO CONSTITERUNT
ANNO U.C. DCCXI. ANTE CHRISTUM XLIII.

Il testo concentra un susseguirsi di fatti storici drammatici, avvenuti in questo periodo di crisi della repubblica romana, che aveva avuto fin qui nel senato uno strumento istituzionale di mediazione e di governo. Lo scritto riferisce dell’uccisione di Cesare, della morte dei consoli Pansa ed Irzio nella guerra di Modena contro Antonio. Poi è seguito l’accordo tra i tre generali di formazione e parte cesariana, per difendere i loro interessi di fronte al senato e prepararsi a combattere la minaccia dei congiurati Bruto e Cassio, che in Oriente stavano formando un temibile esercito.
Nelle parole della lapide emerge il valore istituzionale del triumvirato, trasformato in magistratura quinquennale dalla lex Titia del 27 novembre 43, ma se nei termini si può scorgere l’ideale di un impero universale fondato sul diritto e la giustizia, tutto si raffredda leggendo della spartizione dei territori; inoltre il popolo di Roma precipitò nella tragedia, dopo che furono compilate le liste di proscrizione.
I triumviri si servirono di questi poteri onde raccogliere le ingenti risorse per pagare i loro soldati, ormai strumento del potere personale, e preparare la spedizione militare contro gli uccisori di Cesare. Gli espropri dei beni ai proscritti furono accompagnati dalle vendette personali, scatenando un clima di terrore, che eguagliava quello della dittatura di Silla. Nei patti era infatti accordata la facoltà “di vendicarsi dei rispettivi nemici, tra cui Cicerone e circa trecento tra cospicui Senatori, e rispettabili Cavalieri romani” [13].
La famiglia infatti più colpita fu quella di Cicerone, e non si trattò di una questione di soldi, ma di una crudele vendetta personale di Antonio per punire l’oratore delle Filippiche, che le recitò in senato e nel foro contro di lui. Infine, anche chi per temperamento non eccedeva nella violenza, assunse il cinismo della ragion di stato: “Ottaviano sul quale tanto Cicerone si era illuso, e le cui ambizioni tanto aveva sostenute, non trovò conveniente ricusare al suo nuovo alleato la vittima più illustre”[14].
La lapide del lato est mette a confronto una visione cristiana della storia del mondo in alternativa a quella mondana dei tempi romani e “pagani”, infatti già nella lapide del 1600 la Trinità opera, come espressione della divina provvidenza, tramite il simbolo della Croce, oggetto di culto in loco e guida di tutti i popoli.
“I Romani conquistarono il mondo con il ferro”, Cristo, “innalzato da terra” trasse a sé i Romani e gli altri popoli nel segno della croce. “Nel vicino tempietto entra o viandante e adora supplice l’insegna della croce del Signore”[15].
Il contenuto delle lapidi presenta dunque una compenetrazione di sacro e di civile, che evidenzia “la duplice valenza di carattere storico e culturale allo spicchio di territorio in cui il cippo sorge”: ricordo degli accordi triumvirali e inoltre del culto della croce, in quanto nella vicina chiesa di S. Elena è conservato un “privilegiato ricettacolo di un frammento della Santa Croce”[16].
In questo luogo, al fascino arcaico e sacrale del Mezzomondo, alla memoria del patto tra i tre consoli che segnò il passaggio istituzionale dalla repubblica all’impero, le lapidi sin dalle prime colonne hanno contrapposto al simbolo della spada il culto della croce, collegato a quello di S. Elena, a cui la chiesa di Sacerno è dedicata.
Considerata poi l’importanza che la località aveva nel passato come nodo viario, attraversato dalla via di Mezzo e da altre, che, incrociandola, univano le due strade maestre dell’Emilia e della Persicetana, (già probabile sede di sacre vestigia in età classica), qui, riporta la tradizione, S. Tertulliano vescovo di Bologna fece costruire o benedisse il monastero di S. Elena nel 470 dell’era cristiana[17].
In questi secoli, “dai primi momenti di vita religiosa alle origini del cristianesimo”[18] fino all’arrivo dei Benedettini, il cenobio e il suo necessario luogo di culto furono curati da “monaci di culto orientale”[19]. I monaci di S. Benedetto, con tutte le caratteristiche di un grande ordine monastico occidentale e con la loro filosofia dell’ora et labora, non solo bonificarono e resero fertili questi terreni, ma in questo luogo di culto eressero nel X secolo la Rotonda.
Al posto di un probabile tempietto precedente, o dei suoi resti, venne eretta questa “piccola Rotonda di Sacerno, a pianta lievemente elittica” che “deve appartenere alla fase arcaica e frammentaria dell’arte romanica, fra il X e l’inizio del XII secolo”, e “in origine aveva un’abside per altare”[20].
Incontrando il convento una certa prosperità, gli stessi monaci nel secolo XI vi edificarono accanto la chiesa romanica dedicata a S. Elena, culto che continuò quando subentrarono i Servi di Maria, che ai primi del ‘300 eressero sopra la Rotonda il campanile romanico.
Nei secoli è continuato il culto di S. Elena e quello di S. Macario, di cui si conservano all’interno i resti di marmo del suo sarcofago, in ricordo del Vescovo di Gerusalemme, che aiutò la madre dell’Imperatore Costantino a rinvenire la Vera Croce.
Nel 1730, finita la costruzione della chiesa attuale, fu collocata sull’altare maggiore la pala dipinta da Giuseppe Cospi, in cui è raffigurata la Santa che si erge abbracciando la Croce.
Il cippo del Triumvirato, che si trova nella stessa posizione e forma da 162 anni, con le medesime lapidi che ne documentano la storia e i significati dei simboli già descritti, è sempre stato oggetto di studi fino al presente.
Per gli abitanti di Sacerno, fino a qualche decennio fa, era come l’indicatore della località il “Mezzomondo”, con tutti i misteri che questa conservava, a cui alcuni ricercatori hanno collegato il culto di Kernumnos, da cui si fa pure derivare il nome di Sacerno.
La foto del 1930, “Gita in bicicletta al Mezzomondo”, riporta a destra il Cippo a fianco della Via di Mezzo di allora, inoltre il Monumento, oltre ad avere assunto il nome della località, era ancora distante dall’argine del Lavino di oltre 10 metri.
I giovani in bicicletta iniziano la salita della rampa, che portava alla passerella; alle loro spalle a sinistra si nota la Via Golena che raggiungeva la Persicetana; all’altezza del ciclista in fondo si scorge la strada a sinistra, che in passato portava alla provinciale, passando accanto all’oratorio di S. Antonio Abate; una ventina d’anni fa, dopo il tratto vicinale, questa antica via è stata ridotta a “cavedagna”. Le tre strade qui indicate sono ancora quelle della mappa Pulega del 1666.
Alberto Tampellini conclude il suo studio, considerando in questo senso Sacerno come “umbilicus orbis”, proprio in virtù dei significati che il luogo ha avuto nella tradizione, fino a collegarlo “a quella congerie di impliciti e primordiali significati che hanno contribuito, dall’antichità a oggi, a tramandare l’uso di collocare negli incroci i segnacoli di carattere religioso (piastrini, edicole, cappelline)”[21].
Egli inoltre esprime l’auspicio che venga effettuato un adeguato restauro a “questo muto rievocatore di memorie passate”, lasciato fino a poco fa tra il “frusciare delle vicine canne ed al delicato frinire degli insetti”[22]. Ora la riva dell’argine è stata falciata, ma il cippo resta in un luogo irraggiungibile.
Nella foto n. 8, ripresa dall’argine destro del Lavino, oltre al panorama dei nostri campi, si scorge a sinistra il Cippo tra la strada e la base dello stesso argine rinfiancato. Al centro, a nord di Via di Mezzo, si notano due alberi alti, tra cui passa la strada vicinale. Nell’angolo a est di questo bivio si trovava la “Memoria del Triumvirato”, come descritta nella detta mappa del 1666.
Da queste immagini sull’ubicazione dello stesso Cippo, si può notare che i padri Serviti spostarono nel 1770 la colonna di circa cento metri, per erigerla di nuovo in un loro podere detto “Sotto la Chiesa”, conferendo allo stesso monumento anche la funzione di pietra confinaria, infatti nel 1845, quando il Conte G.B. Spalletti riedificò il pilastro nella presente struttura, lo spostò di soli cm. 24, per portarlo in suolo pubblico.
Il Cippo, nella foto 10, illustra le imponenti strutture, rese fatiscenti dal tempo e dall’incuria. Il luogo che occupa da 162 anni non sembra più idoneo ad accogliere il maestoso manufatto, né ad offrire gli spazi per un recupero e una valorizzazione dei significati storici e culturali che lo stesso rappresenta, non essendo oggetto di visite né da parte dei cittadini né delle scolaresche.
E’ in progetto, da parte del Comune di Calderara di Reno, un intervento di restauro, per restituire all’imponente segnacolo il fascino storico, che nei secoli ha suscitato l’interesse degli studiosi e ha colpito l’immaginazione popolare, per la quale la località è ancora chiamata Mèz dal Mònd.
Rivalutare dunque l’importanza del Cippo e renderlo fruibile a tutti è al presente un’opera meritoria, che continua quella dei Padri Serviti e del Conte Spalletti, allo scopo di tramandare alle giovani generazioni e a quelle future il significato universale dei valori civili e religiosi, che esso qui rappresenta.

NOTE
[1] Le Chiese Parrocchiali della Diocesi di Bologna, Bologna 1844, p. 36.
[2] A. Tampellini, Pagani e Cristiani- Forme ed attestazioni di religiosità del mondo antico nell’Emilia centrale, S. Giovanni in Persiceto (Bologna) 2001, p. 130.
[3] A. Tampellini, Il cippo di Sacerno e la spartizione triumvirale del 43 a. c., “Strada Maestra”, S. Giovanni in Persiceto (Bologna), n. 49 (2° semestre 2000), pp. 29-30.
[4] Ibidem, p.36.
[5] ASB, Demaniale 1666, 97/2131. Abbreviazioni: ASB – Archivio di Stato Bolognese; ACC – Archivio Comunale di Calderara di Reno; APS – Archivio parrocchiale di Sacerno.
[6] S. Calindri, Dizionario corografico d’Italia – Pianura del Territorio Bolognese – Dell’Isola del Triumvirato in Reno - Vol. VI, Bologna 1785.
[7] ACC. Tit. XXV, Prefettura, Rub. 3, 1813, b. 3.
[8] A. Tampellini, Il cippo di Sacerno, cit. p. 25.
[9] S. Calindri, Dizionario, cit. Nota 43. p. 84.
[10] Le Chiese parrocchiali della Diocesi di Bologna, Tomo I, Bologna 1844, p. 36.
[11] Archivio comunale di Sala Bolognese, “Acquisti, vendite e atti vari” delle famiglie Spalletti – Trivelli e Terracini.
[12] G. Forni, Persiceto e San Giovanni in Persiceto, Rocca San Casciano, 1921, p. 22.
[13] S. Calindri, Dizionario, cit. p. 27.
[14] C. Barbagallo, Storia Universale – Roma Vol. II, Torino 1968, p. 944.
[15] Per la traduzione dei testi della lapidi, si è fatto un libero riferimento a Tampellini, Il cippo di Sacerno, cit., pp. 26-27.
[16] A. Tampellini, Pagani e Cristiani, cit. p. 129.
[17] C. Siconio, De Episcopis Bononoiensibus, p. 28.
[18] A.M. Orselli, Organizzazione ecclesiastica e momenti di vita relgiosa alle origini del cristianesimo, Storia della Emilia Romagna 1, Bologna 1984, pp.307-332.
[19] A. Gatti, Sant’Elena di Sacerno, Bologna 1895, p. 13.
[20] G. Rivani, Aspetti e singolarità dell’architettura bolognese nel periodo romanico – Organismi a pianta centrale, “Strenna Storica Bolognese”, n. 9, Bologna 1959, p. 318.
[21] A. Tampellini, Il Cippo, op. cit. p.50
[22] Ibidem, p. 51

Articolo a cura di Rino Battistini

ITINERARIO CICLOPEDONALE - Da Casalecchio a Vergato (BO)


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VISIONI - Fratello Reno

La visione che mi venne inaspettata nella mente, era quella di un fiume vissuto. Di un fiume rivalutato. Di un fiume che ritorna dal passato, per reclamare il suo giusto ruolo che gli compete.
Un fiume, che da tempi lontani ormai dimenticati, ricorda alle genti la sua esistenza e il suo valore.
Un fiume vivo, che non vuole essere sporcato, che non vuole essere considerato come una naturale fogna a cielo aperto.
Un fiume disonorato dall’inquinamento, che vuole recuperare la sua dignità.
Una via d’acqua ormai persa dalla memoria collettiva, che non aspetta altro che servire nuovamente le genti che dall’alba dei tempi ne hanno goduto la sua vitalità e ricchezza.Un fiume che vuole tornare a essere un fiume.
E la visione ha continuato a proiettarsi negli occhi della mia mente, come un film che percorrendo gli stadi della sua storia, manifesta scena dopo scena, risvolti e colpi di scena inattesi.
Improvvisamente, quello che sembrava un povero fiume che elemosina il giusto rispetto, diventa il protagonista con un destino da salvatore.
Un fiume che si trasforma da vittima a liberatore.
Un fiume che da umile essere inascoltato, diventa maestro.
Un fiume che perdona gli stupri che l’essere umano ha commesso e che ci dona la redenzione.
E in questo clima di riappacificazione tra uomo e natura, nasce una nuova consapevolezza.
Il riconoscimento che noi esseri umani siamo nulla senza di lui.
Che senza la sua preziosa linfa, l’uomo non potrebbe esistere.
Che senza il suo scorrere tra la terra, nulla crescerebbe.
Che senza di lui, senza la sua vista, senza il suo suono, a volte debole e melodioso, a volte forte e prorompente, la nostra anima inaridirebbe.
E da questa coscienza, piano piano, sorge dal profondo del proprio cuore una chiara emozione.
Un sentimento di riconoscenza.
Un grazie immenso per avere sopportato la nostra ignoranza.
Per aver saputo aspettare che ci accorgessimo da soli, che stavamo facendo del male a nostro fratello. E che questo parente, è parte di noi. Parte di un tutto che ci riguarda, che ci unisce, che ci porta prima o poi a capire che quello che facciamo agli altri, lo facciamo anche a noi stessi.
Nel bene o nel male.
Mi pervade la consapevolezza che la vita ci aveva dato il compito di vigilare su di lui. Di essere il suo guardiano piuttosto che il suo carnefice e che tutti noi disonorandolo, abbiamo infranto il sacro impegno di proteggerlo e di preservarlo dalla nostra stessa stupidità e di vivere in armonia con lui.
E questa spirale di emozioni, mi porta a capire che ormai la riflessione riguarda me stesso.
Questo compagno inascoltato che non parla la mia lingua, mi ha comunicato con la sua semplice presenza chi sono.
Un senso di vergogna mi invade.
Lui è sempre stato qui e solo ora mi accorgo della sua esistenza.
Della sua bellezza.
Della sua importanza.
Mi rendo conto che da quando sono nato, lui è sempre stato lì.
In tutti questi anni silenziosamente mi ha aspettato.
E ora mi trovo a dialogare con lui attraverso il meraviglioso linguaggio delle emozioni.
Improvvisamente mi sento un privilegiato.
Ho voglia di gridare a tutti la mia scoperta. La mia illuminazione.
Ho voglia di fermare le auto sui ponti che lo attraversano e dire: “Hei! Guarda giù! È il fiume Reno! È nostro fratello!”

A cura di Riccardo Fioravanti